
OGGETTI “PREZIOSI” IN-STA-CASA DI SCAMBIO
Leggendo dei miei scambi casa qua e là, probabilmente vi sarete chiesti: ma come si fa con le cose preziose, o comunque di valore, che uno ha in casa? Come comportarsi? Ritirarle, chiuderle in cassaforte o darle a qualche amico? Bè, innanzitutto vi posso dire che io di valore non ho più nulla! Tre volte visitata dai ladri in 30 anni, purtroppo non è più rimasta traccia dei regali ricevuti per i 18 anni, la laurea o per la nascita dei miei pargoli! Aggiungete pure che io ci ho messo del mio, come dimenticare nella tasca dell’accappatoio della SPA di un bellissimo hotel di Cogne – quell’unica volta che ci siamo concessi io e mio marito un weekend senza figli – un prezioso collier regalo dei miei genitori per la mia laurea (che a saperlo sarei andata direttamente al Bellevue Hotel & spa invece di optare per uno un po’ più abbordabile), ecco che di prezioso in senso stretto del termine non mi è rimasto più nulla.
Ma a parte ciò, quello che ho rilevato in tutti questi anni di homeswapping, è che ogni famiglia ha un concetto tutto suo di preziosità. Mi spiego meglio: dovete sapere che solitamente, quando si arriva in una casa di scambio, oltre all’immancabile bottiglia di vino tipico della zona, si trova un plico dettagliato con un sacco di info fondamentali per un soggiorno in tutta tranquillità, come il funzionamento degli elettrodomestici, l’antifurto, i giorni della raccolta differenziata e i numeri utili – quelli dei vicini di casa in primis – oltre che numerosi dépliants su quello che di interessante c’è da visitare in zona. Se poi c’è qualcosa di specifico da segnalare (che so, un pacco che deve arrivare, una stanza chiusa a chiave perché magari lì si è riposto quel che non si andava di condividere) senz’altro è scritto.
Quel che è strano però, è che non sempre quello che pare prezioso ai nostri occhi di guest lo è in egual misura per i nostri host. Per esempio, lascereste mai la “stanza della musica” – qualora ne aveste una – accessibile agli ospiti con due pianoforti a coda e un antico clavicembalo, tre pareti interamente tappezzate di libri antichi sulla storia della musica e centinaia – e ripeto centinaia – di CD di musica classica nella vostra villa sulla collina di Boston se foste un professorone ad Harvard, studioso di Bach famoso in tutti gli Stati Uniti e pieno di onorificenze? Mah…
Eppure, quando da New York arrivammo alla villa, nostra seconda tappa durante il viaggio in doppio scambio casa negli USA, sapete a proposito di cosa si raccomandarono caldamente i proprietari? Nessun cenno alla music room, ma un’unica richiesta – sottolineata più volte – e cioè di non sedersi sulle Adirondack chairs situate in terrazza, perché appartenute ai rispettivi genitori e quindi di grande valore (affettivo)!
Conoscete questa sedia tipica del nord America che si vede in ogni film che si rispetti? Sono sicura di sì! magnifiche e comodissime, tutte in doghe di legno, hanno la seduta leggermente in discesa e sono di vari colori. Solitamente piazzate nei giardini delle case o sulle dune di sabbia a Cape Cod (come nei poetici quadri di Edward Hopper che adoro), queste sedie – progettate nel 1903 da Thomas Lee durante un periodo di vacanza sui monti Adirondack – sono diventate un vero e proprio simbolo della ricreazione openair americana.
Ecco, mai avrei detto che la loro nota potesse riguardare delle sedie – per quanto preziose potessero essere – anziché la stanza della musica che da sola valeva non so quante migliaia di dollari.
E sapete dove si lasciò cadere mio marito, esausto dopo la lunga tirata da New York, non appena entrammo in casa? Ma su una di queste ovviamente, circa dieci secondi prima che io finissi di terminare la lettura ad alta voce alla famiglia delle istruzioni lasciate sul tavolo in cucina e che vertevano esclusivamente sul NON sedersi sulle sedie o, per lo meno, di utilizzarle delicatamente! A parte il fatto che forse io le avrei direttamente nascoste da qualche parte, ma ho ancora nelle orecchie il fragoroso CRACK prodotto dalla delicatezza con la quale mio marito si sedette su una malcapitata, che provocò l’incrinatura di una delle gambe! Non vi dico l’urlo che cacciai e i fulmini che gli lanciai!
Per fortuna ho un marito capace di aggiustare tutto e così, una volta finito il lavoro, le famigerate Adirondack di famiglia furono riposte nell’angolo più lontano della terrazza e sostituite con altre.
In un’altra casa, questa volta nella magnifica Jurassic Coast nel sud dell’Inghilterra, su un comò del salotto vi erano appoggiate una ventina di cornici d’argento che i proprietari non si erano minimamente preoccupati di riporre, anche solo in fondo ad un armadio.
Questa volta le raccomandazioni erano invece tutte per la collezione di vecchi cappelli e bastoni – molto alla Downton Abbey – che facevano bella mostra di sé sull’attaccapanni della cucina, contribuendo ad arricchire la già tipica atmosfera da cottage data dai divani colmi di plaid di lana merinos, dalla vecchia cucina AGA e dall’odore di torba che proveniva dalla stufa in ghisa davanti al divano.
D’altronde, anche se da un lato è vero che lo scambio casa avviene con degli sconosciuti, dall’altro mi sento di dire che in realtà non lo sono totalmente, poichè fanno parte della grande community di persone per bene che sceglie questa modalità di viaggiare proprio perché la casa la ama, con i suoi ambienti interni ed esterni, le piante da innaffiare, i libri da sfogliare, la musica da ascoltare e – perché no – il gatto da nutrire, trattandola quindi come se fosse loro; e chi meglio dei padroni di una casa se ne può prendere cura rispettandola?
Il mio motto è: Tratta la casa altrui come vorresti fosse trattata la tua! Ne otterrai soddisfazioni – e risparmi – favolosi!
Alla prossima!